Progetto “Amichiamoci”

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presentazione habiba
L’ Associazione Afroitaliani/e insieme a Scup Sportculturapopolare, organizza Mercoledi 18 alle ore 18 allo Scup Via Nola 5,  Roma metro San Giovanni,  la presentazione del libro Habiba la magica, con l’autrice Chiara Ingrao e reading a cura della blogger e scrittrice afroitaliana Meticcia Mente – Pamela Aikpa Gnaba autrice del blog  http://meticciamente.wordpress.com/ ! Il libro, oltre ad essere molto bello e ricco di immaginazione, è molto importante anche in quanto per la prima volta un libro italiano per bambini/e presenta come protagonista una piccola afroitaliana, che è ‘romana de Roma’!  il libro tratta di una bambina che fa magie, ma anche una bimba come tante. E finalmente una bambina nera da protagonista, da eroina di un libro per ragazzi/e nel quale l’essere neri/e non è necessariamente legato alla tematica “immigrazione” . Finalmente i piccoli/e neri/e italiani/e e non solo possono sentirsi rappresentati/e e finalmente aiuterà a passare il messaggio che gli italiani e le italiane di fatto e/o di diritto non sono – solo – bianchi/e e possono chiamarsi Habiba o Ali, Neva, Fan Li, Josef e Thelie! Il programma del pomeriggio è molto ricco, vedrà anche gli interventi di Francesca Valenza – referente Polo Intermundia 1 e delle maestre Rossella Martinelli della scuola Di Donato-Manin e Felicita Rubino della scuola Carlo Pisacane e di Mohammed Abdalla della rete G2. Date un’occhiata al link, ci saranno anche attività per i bimbi più piccoli e la possibilità di acquistare il libro per chi lo voglia. A seguire cena multietnica a cura dell’Hostaria Agli Scuppiatti con un piatto di chef “special guests” dal Senegal e Gambia

Mosaic by Costel per Associazione Afroitaliani/e

Gruppo di incontro famiglie e persone afroitaliane di Roma – Febbraio 2014

Le famiglie e le persone afroitaliane di Roma e dintorni sono invitate all’incontro di Febbraio del gruppo per bambini/e neri/e e misti/e e i loro genitoriIl gruppo è nato per condividere l’esperienza di avere figli neri e misti in una società a maggioranza bianca come quella italiana e dotarci e dotare i nostri figli di strumenti adeguati per vivere al meglio in questo contesto.L’incontro del gruppo adulti/genitori a Febbraio che si tiene il giorno successivo alla manifestazione contro i CIE, verterà sull’esperienza di solidarietà e convivenza multicurale che due delle famiglie del nostro gruppo sono andate recentemente a ‘toccare con mano’ a Riace, il villaggio calabrese “paese dell’accoglienza” per discutere di come farne tesoro! Verrà anche proiettato un cortometraggio su questa esperienza.Nella sala adiacente, i bambini e le bambine potranno sperimentare uno spazio gioco in cui “rispecchiarsi” con la supervisione di un animatore/animatrice afroitalian*L’incontro si terrà al centro Scup – Sportculturapopolare,   struttura di aggregazione fondamentale del territorio!

L’indirizzo Via NOLA 5 – Roma – fermata Metro RE di Roma

E’ richiesta una piccola donazione volontaria ad offerta libera

all’ Associazione Afroitaliani/e

per consentire di compensare l’animatore che si occuperà dei bambini e delle bambine

Chi può, porti qualcosa per la merenda da condividere!per partecipare basta aderire all’evento qui oppure su FB

Neri, con un genitore bianco

Nero con un genitore bianco

 

Come donna bianca mi è stato detto che non è mio diritto definire l’identità etnica di una persona non bianca. Qundi calpesterò qualche callo con questo articolo, ma non mi scuserò per questo.Mi limiterò ad esporre la mia convinzione sul perchè creda che l’etichetta “misto” o “meticcio” (biracial  NdT) sia distruttiva.
Un po’ di tempo fa mi fu segnalato un video intitolato “Misto, non nero, per diamnine!”. Non riuscivo a decidere di guardarlo quel documentario, perché davo per scontato che era un totale rifiuto della collettività nera e che era di fatto uno strumento della supremazia bianca. Più i supremazisti bianchi convinceranno le persone non bianche a essere divise fra loro, più forti diventeranno i razzisti.

La “One Drop Rule”(regola della dell’unica goccia usata nella classificazione segregazionista negli USA, secondo la quale bastava una sola goccia di sangue nero, ossia un solo antenato nero, non importa quanto remoto, per definire una persona come nera – NdT), prima veniva usata come metodo per tenere sottomesse nelle società le persone che avessero nel loro sangue l’eredità Nera. Una volta che un individuo veniva identificato come avente eredità nera nei suoi geni, era facile per i biachi ignorarlo e sottometterlo. Ma oggi, in molti casi, la “One Drop Rule” è usata al contrario per convincere i neri che hanno un genitore bianco che sono di fatto più vicini alla “bianchezza” e che quindi la lotta per smantellare la supremazia bianca non gli appartiene e non è per loro rilevante.

Questa è una situazione molto pericolosa a mio avviso. Se da una parte alcune persone affermano che la “mixité” permette loro di abbracciare in pieno la propria eredità ed identità razziale, io credo, purtroppo che i bianchi spesso usino questo per tenere stratificati i neri che altrimenti potrebbero lavorare insieme per sconfiggere il razzismo. Questo crea una sorta di “zona cuscinetto” tra bianco e nero che viene usata per convincere le persone che il razzismo, la supremazia bianca non sono più un problema.

Trovo estremamente sconcertante quando sento persone bianche che hanno figli con un partner nero, insistere che loro figlio non è nero, ma piuttosto che è “misto”. La loro insistenza nell’uso del termine “misto” mi indica che non sono assolutamente degli alleati dei neri nella lotta per rimpiazzare la supremazia bianca con la giustizia per tutti. Il riufiuto in blocco del fatto che il proprio figlio sia nero, porta il bambino in seguito ad identificarsi maggiormente con la “bianchezza”, che è dopo tutto un’esistenza più facile.

Più i bianchi riusciranno a convicere le così dette persone “miste” che hanno un interesse nell’essere “bianchi in parte”, più riusciranno a convincerli a rifiutare la causa per la giustizia razziale. Si insegna ai cosiddetti bambini “misti”che la cosa più importante sia celebrare ed abbracciare la “bianchezza”.

Facendo ciò, si costruisce una crisi esistenziale in quel bambino che gli/le impedirà di intraprendere la lotta per la giustizia. I bianchi fanno questo per convincere le persone che si classificano come “miste” di rifiutare la nozione che la “bianchezza” (intesa come privilegio bianco) e una condizione che deve essere annientata affinchè ci sia più giustizia nel mondo.

Se il supremazista bianco riesce a convincere una persona che è “mista” allora il viaggio e breve verso la difesa della “bianchezza”. Dopo tutto se sei mezzo bianco, ti adopereresti per preservare l’etnia bianca.No?

Faccio un salto ogni volta che sento persone affermare che un bambino è “misto”, non nero. Non solo ciò nega l’impatto che l’essere non bianco provochi sulla vita di un bambino non bianco, ma insegna anche a quel bambino a prendere la bianchezza come ideale. Questo non è quello che voglio per mio figlio.
Quando avrò figli è estremamente possibile che saranno neri.Sì ho detto neri, non misti. “Misto” è una categoria artificiale inventata dai supremazisti bianchi per aumentare il numero di persone che hanno qualche cosa di identificabile come “bianco”.

Quando sento “abbracciare tutte e due le parti della tua eredità” come il goal finale dell’usare l’etichetta “misto” lo riconosco subito per quello che è…un tentativo di negare le malvagità perpetrate dall’uomo bianco per così tanti secoli.

Ho visto molte persone che hanno un genitore bianco battersi per la causa della giustizia e per i diritti dei neri. Ma nemmeno una volta mi è capitato di sentire uno di loro definirsi come “misti”. Quel termine sembra essere riservato per i confusi, per quelli che sotto sotto vorrebbero essere bianchi o diventarlo.

Grazie a Raffaele La Franca per la traduzione da http://www.thescavenger.net/feminism-a-pop-culture/why-i-dont-want-to-have-biracial-children-581.html

Capodanno afroitaliano a Roma!

Capodanno afroitaliano a Roma!

UNA FESTA COSTRUITA INSIEME AI RAGAZZI RIFUGIATI, PER IL DIRITTO ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DI UOMINI, ARTI E SAPERI.

Madya Diebate (kora, Senegal), Balkissa Maiga (attrice, Mali)

CONCERTO CON IL GRANDE BABA SISSOKO E IL SUO TRIO!
Ingresso libero

CENA CON CIBI MALIANI SU PRENOTAZIONE (affrettarsi! contatti@asinitas.org)

e dopo il concerto…
DANCE!

Incontro famiglie e persone afroitaliane di Dicembre

Prossimo incontro DOMENICA 15 DICEMBRE
A ROMA alle ORE 1630 fino alle 19

Gli incontri tengono una domenica al mese presso la Sala PARQUET (Bimbi) e la sala adiacente (genitori), al piano superiore dello SCup in Via Nola 5 – Zona San Giovanni (METRO A – PIAZZA RE DI ROMA O SAN GIOVANNI) dalle 16.30 alle 19. 
La partecipazione è libera e gratuita, anche se è apprezzata una donazione anche minima allAssociazione Afroitaliani/e per poter contribuire al rimborso spese alla giovane animatrice afroitaliana

Si incoraggia la condivisione di giochi e libri multiculturali e la merenda per i bambini e le bambine
Per dettagli sugli incontri di ROMA scrivere a Flora Afroitaliani-e su FB oppure a associazionebambiniafroitaliani(chiocciola)yahoo.it

Linee guida per alleati bianchi efficaci nella lotta al razzismo

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Che tipo di sostegno attivo possono offrire degli efficaci alleati bianchi alla gente nera o appartenente ad una minoranza etnica? Nel corso degli anni, le persone nere o di minoranza etnica con le quali ho parlato si sono dimostrate notevolmente d’accordo nel descrivere il genere di supporto di cui hanno bisogno da parte dei loro alleati bianchi. Quello che la gente nera o appartenente ad una minoranza etnica vorrebbe dagli alleati bianchi:

  • “Rispettateci”
  • “Ascoltateci”
  • “Informatevi su di noi”
  • “Non giungete a conclusioni affrettate”
  • “Non vi imponete”
  • “State al nostro fianco”
  • “Fornite informazioni”
  • “Non date per scontato di sapere ciò che è meglio per noi”
  • “Risorse”
  • “Soldi”
  • “Rischiate pure”
  • “Commettete errori”
  • “Non prendetela sul personale”
  • “Onestà”
  • “Comprensione”
  • “Parlate con altre persone bianche”
  • “Parlate ai vostri figli di razzismo”
  • “Interrompete barzellette e commenti razzisti”
  • “Fate sentire la vostra indignazione”
  • “Non esortateci a prendere posizione per la nostra gente”
  • “Metteteci la vostra faccia”
  • “Impegnatevi ogni giorno”

Principi base

Ogni circostanza è diversa ed ha bisogno di una riflessione critica su come arrivare al cambiamento. Tenendo conto dei principi sopra elencati, ho scritto alcune linee guida.

1. Date per scontato che il razzismo purtroppo è dappertutto, ogni giorno. Così come l’economia ha un impatto su tutto ciò che facciamo, così come le politiche di genere influenzano tutto ciò che facciamo, prendete atto di come anche il razzismo ha un influenza sulla vostra vita quotidiana. Prendiamo atto di ciò perché è vero e perché il privilegio di essere bianco significa anche la libertà di non dover aver a che fare con il razzismo constantemente. Dobbiamo imparare a vedere gli effetti del razzismo. Teniamo conto di chi è che sta parlando, di quello che viene detto, di come sono fatte e descritte le cose. Notiamo chi non è presente quando si fa un discorso razzista.

Notiamo le parole  usate per definire il concetto  di “razza” (come costruzione sociologica)  e le implicazioni delle strategie, dei temi ricorrenti e dei commenti espressi. Il colore di pelle di ogni persona che si incontra è già qualcosa  che si nota. Ora cominciate a notare anche che differenza faccia.

2. Notate chi è al centro dell’attenzione e chi è al centro del potere.  Il razzismo  funziona dirigendo la violenza e attribuendo la colpa alla gente nera e di una minoranza etnica e consolidando il potere e il privilegio  per la gente bianca.

3. Notate come il razzismo è negato, minimizzato e giustificato.

4. Comprendete e apprendete dalla storia della bianchezza e del razzismo. Notate come il razzismo è cambiato nel corso del tempo e come abbia sorpassato o resistito alle sfide. Studiate le tattiche che sono state efficaci nel contrastarlo.

5. Comprendete i legami tra razzismo, questioni economiche, sessismo ed altre forme di ingiustizia.

6. Prendete posizione contro l’ingiustizia. Rischiate. Fa paura, è difficile e può causare un senso di inadeguatezza, mancanza di sicurezza,  indecisione, o timore di commettere degli errori, ma alla fine è la sola cosa umana, sana e etica da fare. Intervenite in quelle situazioni in cui si sta trasmettendo il razzismo.

7. Siate strategici. Decidete cosa sia importante contrastare e cosa no. Riflettete sulla strategia da intraprendere in alcune situazioni particolari. Colpite la fonte del potere.

8. Non confondete una battaglia con la guerra. Ci sono delle trame più grandi dietro particolari episodi e interazioni. Il razzismo è flessibile e adattabile. Ci saranno vincite e perdite nella lotta per la giustizia e l’uguaglianza.

9. Non insultate nè fate offese personali. Dato che il potere viene spesso definito come potere sugli altri – abilità di offendere o controllare le persone – è facile diventare noi stessi offensivi. Di solito, però, finiamo con l’offendere le persone che hanno meno potere di noi, perchè è meno pericoloso. Attaccare le persone non risolve la natura sistemica del razzismo e della disuguaglianza.

10. Appoggiate la leadership della gente nera e di minoranza etnica. Fatelo in maniera consistente, non in maniera acritica.

11. Imparate la storia dei bianchi che hanno operato a favore della giustizia tra i popoli. C’è una lunga storia di gente bianca che ha combattuto per la giustizia tra i popoli. Le loro storie possono ispirarvi e sostenervi.

12. Non fatelo da soli. Non terminerete il razzismo da soli. Lo possiamo fare se lavoriamo insieme. Costruite supporto, stabilite reti, e operate con gruppi già istituiti.

13. Parlate con i vostri figli e le vostre figlie e con altri giovani del razzismo.

Si ringrazia Raffaele La Franca per il prezioso contributo alla traduzione

da http://www.beyondwhiteness.com/2012/02/20/paul-kivel-guidelines-for-being-strong-white-allies/

Appello per l’apertura di un canale umanitario per il diritto d’asilo europeo

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Ai Ministri della Repubblica, ai presidenti delle Camere, alle istituzioni europee, alle organizzazioni internazionali

Dal sito internet del Progetto Melting Pot Europa:

A cadenza ormai quotidiana la cronaca racconta la tragedia che continua a consumarsi nel mezzo del confine blu: il Mar Mediterraneo.
Proprio in queste ore arriva la notizia di centinaia di cadaveri raccolti in mare, ragazzi, donne e bambini rovesciati in acqua dopo l’incendio scoppiato a bordo di un barcone diretto verso l’Europa.
Si tratta di richiedenti asilo, donne e uomini in fuga da guerra e persecuzioni, così come gli altri inghiottiti da mare nel corso di questi decenni: oltre 20.000.Lo spettacolo della frontiera Sud ci ha abituato a guardare l’incessante susseguirsi di queste tragedie con gli occhi di chi, impotente, può solo sperare che ogni naufragio sia l’ultimo. Come se non vi fosse altro modo di guardare a chi fugge dalla guerra che con gli occhi di chi attende l’approdo di una barca, a volte per soccorrerla, altre per respingerla, altre ancora per recuperarne il relitto.
Per questo le lacrime e le parole dell’Europa che piange i morti del confine faticano a non suonare come retoriche.Perché l’Europa capace di proiettare la sua sovranità fin all’interno del continente africano per esternalizzare le frontiere, finanziare centri di detenzione, pattugliare e respingere, ha invece il dovere, a fronte di questa continua richiesta di aiuto, di far si che chi fugge dalla morte per raggiungere l’Europa, non trovi la morte nel suo camminoSi tratta invece oggi di “esternalizzare” i diritti. Di mettere la bando la legge Bossi-Fini e aprire invece, a livello europeo, un canale umanitario affinché chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee in Libia, in Egitto, in Siria o lì dove è necessario (presso i consolati o altri uffici) senza doversi imbarcare alimentando il traffico di essere umani e il bollettino dei naufragi.
Nessun appalto dei diritti, nessuna sollevazione di responsabilità ai governi europei, piuttosto la necessità che l’Europa si faccia veramente carico di evitare queste morti costruendo una presenza diretta e non terza che, fin dall’interno dei confini africani, possa permettere a chi chiede protezione di non morire, di chiedere asilo, per poi accogliere sul suolo europeo chi fugge ed esaminare qui la sua domanda.Alle Istituzioni italiane, ai Presidenti delle Camere, ai Ministri della Repubblica, chiediamo di farsi immediatamente carico di questa richiesta.
Alle Istituzioni europee di mettersi immediatamente al lavoro per rendere operativo un canale umanitario verso l’Europa.
Alle Associazioni tutte, alle organizzazioni umanitarie, ai collettivi ed ai comitati, rivolgiamo l’invito di mobilitarsi in queste prossime ore ed in futuro per affermare IL DIRITTO D’ASILO EUROPEO

Il privilegio bianco

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Ma cos’è il privilegio bianco?

Il privilegio che deriva dall’essere bianco/a è difficile da definire: in unasocietà a maggioranza bianca e dove i bianchi detengono tutto il potere, tutti i bianchi detengono questo privilegio, anche non essendo apertamente razzisti.
Questo privilegio è diverso da contesto a contesto e varia anche in base ad altri aspetti della propria identità (l’essere bianco E maschio, conferisce un altro tipo di privilegio).
Ogni persona bianca italiana come me, per esempio, è cresciuta in un ambiente totalmente o pressochè totalmente bianco, circondata dal razzismo, anche inconscio e /o inconsapevole, delle persone e delle istituzioni.
Ho dovuto lottare innanzitutto dentro di me per decostruire e resistere al training razzista che ho ricevuto fin dalla prima infanzia, in maniera spesso subliminale, e  al razzismo della mia cultura di appartenenza. Spero che questo processo continuo mi abbia fatto cambiare, anche se a volte inciampo negli effetti di quel razzismo interiorizzato e negli effetti del razzismo istituzionale intorno a me. Ma non importa quanto io cerchi di”guarire” me stessa, una cosa non cambia mai: io porto in me il privilegio bianco…
Come?

Quando io faccio domanda per un lavoro, o cerco un appartamento, io non appaio “minacciosa”.

Quasi tutte le persone che devono valutarmi per quelle cose, somigliano a me….sono bianche. Loro vedono in me un riflesso di loro stesse e in una società razzista quello è un vantaggio…
Sorrido, sono bianca, sono una di loro. Non sono pericolosa…
Anche quando  esprimo delle opinioni critiche, mi si perdonano delle cose. Dopo tutto, sono bianca…

Alcune persone bianche hanno avuto una vita ancora più facile, perché di famiglia ricca, e questo ha dato loro ancora più privilegio, altre hanno avuto una vita più dura, perché la loro famiglia era povera, così come io ho subito discriminazione di genere inquanto donna.
Ma alla fine tutti e tutte in quanto bianchi/e godiamo di  qualche forma di privilegio…..
Penso anche a quanti, che magari lo meritavano meno di altri che non possedevano lo stesso privilegio, siano arrivati a certe posizioni grazie alla solidarietà basata sul colore, sul genere, sulla classe sociale o l’ideologia…..
Secondo me è importante ricordarsi di quanto noi siamo il prodotto non solo di quello che noi VOGLIAMO ESSERE ma anche di quello che la società in cui viviamo CI HA LASCIATO DIVENTARE, ci ha dato l’opportunità di diventare. E le opportunità non sono pari per tutti e tutte…

Il problema con il privilegio legato al colore o al genere è che non è qualcosa di cui ci si può disfare a piacimento…
Ogni volta che io entro in un negozio e la guardia giurata mi lascia in pace per mettersi a seguire una persona nera (o araba o rom), io sto beneficiando del privilegio bianco…
Io, in quanto bianca , porterò con me quel privilegio fino a quando il predominio della gente bianca non sarà stato cancellato dalla nostra società.
E il primo passo da fare, come bianchi, è proprio non aver paura di ammettere che in quanto bianchi abbiamo beneficiato e continuiamo a beneficiare di quel privilegio proprio per poter avere una scelta di come ed in quale maniera usufruire di quei benefici che abbiamo ottenuto anche in virtù di quel privilegio.

Riporto anche questo articolo molto bello, che però è in inglese: dal titolo “Come io beneficio del privilegio bianco”

http://www.rootswomen.com/articles/whitebenefits.html

in cui tra l’altro l’autrice spiega che chi gode del “privilegio bianco” non deve pensare alle tematiche legate al  colore se non  vuole farlo, mentre invece una persona che non gode di questo privilegio non ha questa scelta, per vivere e funzionare in questa società è costretta a pensare alle tematiche del razzismo che lo voglia o no….

Questo lo riscontro anche nelle esperienze delle nostre bambine nere e miste: quante bambine bianche si sono sentite dire a sei anni, qui in Italia: “il colore della tua pelle non mi piace” oppure “non voglio darti la mano, per il colore della tua pelle”? fortunatamente non molte, eppure le bambine nere se lo sentono dire, con queste o altre parole, anche prima dei sei anni!

p.s. bianco e nero ,son più categorie che colori effettivi… e nero non è solo un discendente della diaspora africana….A me piace la seguente definizione della parola “nero/a”:
“Con il termine “nero”  si includono tutte quelle persone le cui origine ancestrali sono: Africane, Asiatiche,Caraibiche, Cinesi, Mediorientali, Nordafricane, Rom, e le genti indigene delle isole del Sud Pacifico, del continente americano, dell’Australia e della NuovaZelanda.”

 

Crescere una figlia nera in Italia

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Ho una figlia giovane, bella e nera (“perché nera, marrone” precisava lei da piccola). D’estate al mare si abbronza, sì anche la pelle nera si abbronza e come succede per quella bianca si vede la differenza tra la parte esposta e quella coperta dal costume. Non lo sapevo, l’ho scoperto con mia figlia. Ho scoperto tante cose con lei, capita a tutti i genitori, immagino.

Quando, a 5 anni è entrata nella mia vita, le ho comprato un ciccio bello nero, la sua prima bambola. Ma nel giro di pochi mesi ha voluto e ha avuto bambolotti bianchi, ciccio bello è diventato mio figlio nei giochi che facevamo insieme. Nel giro di pochi anni la sua famiglia è cresciuta e ha scelto, uno dopo l’altro, una magnifica serie di bambolotti scuri, i suoi figli, i miei nipoti. Ho pensato che il momento peggiore – quello in cui piccola piccola mi diceva che si voleva levare la pelle per averla come la mia – era passato. Che cominciava a volersi bene e forse persino a piacersi, a riconoscere quanto fosse bella e quanto fosse bella anche la sua pelle nera, cosa di cui peraltro era convinta la sua più piccola e bianchissima cuginetta che la guardava con ammirazione.

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Per Obama ho fatto il tifo – sì, proprio il tifo, più cuore che testa più pancia che cervello – fin dalle primissime primarie, quando non sapevo chi fosse – sentivo il suo nome per la prima volta – e le uniche notizie erano quelle poche, non particolarmente eccitanti, fornite da giornali e tv. Ho tifato per Obama, come ho tifato per Hamilton, il campione automobilistico. Per ogni nero e nera che abbia successo, che possa rappresentare un modello positivo, un modello vincente per mia figlia. Che si chiami Naomi Campbell, o Beyoncè, Tyra Banks o Will Smith, Craig David o Ronaldinho. Per fortuna ce ne sono tanti, mia figlia li ha scoperti in un personale percorso di selezione dei suoi “miti” e delle sue passioni, che include naturalmente anche Brad Pitt e Angiolina Jolie, Laura Pausini e Tiziano Ferro, Tom Cruise e David Beckam.

Per Obama abbiamo tifato insieme. Anche se io ho avuto paura a coinvolgerla troppo, a comunicarle l’idea di uno scontro radicale, di un conflitto storico in cui la “sua pelle” poteva perdere. Durante le primarie mi preoccupavo di rassicurarla che Hillary Clinton è una donna seria, preparata, pacifista. Che non succedevano drammi se vinceva lei. E dopo… Dopo bisognava aspettare e incrociare le dita ma comunque McCain non è Bush.

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Non è facile crescere in Italia con la pelle scura. Anzi purtroppo temo che non è facile crescere con la pelle scura da nessuna parte. Mi ricordo quanto mi colpì, tanti anni fa, molto prima che mia figlia entrasse nella mia vita, scoprire che un mio conoscente e la moglie nel fare domanda di adozione avevano dichiarato di non essere disponibili ad adottare un bambino nero, di non sentirsi in grado di affrontare le difficoltà in più di integrazione che questo comportava. L’ho sentito come un violento cazzotto nello stomaco, qualcosa francamente di inconcepibile. Ne ho discusso – ricordo – con amiche comuni che, probabilmente giustamente – mi spiegavano come fosse più onesto riconoscere questa difficoltà (o questo pregiudizio?), proprio per il bene del bambino. Eppure una parte di me non riesce ad accettare un atteggiamento che così male si concilia con la pratica dell’adozione, non riesco a liberarmi del senso di violenza che sento concentrato in questo rifiuto.

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In questi anni ho cercato di proteggere mia figlia proprio da questo senso di esclusione che si annida in comportamenti, sguardi, frasi apparentemente innocue sulla diversità. Che incontri improvvisamente nelle battute di un film, nelle pagine di un libro (e allora salti una riga, ometti una frase o una parola, come, mi ricordo, la descrizione dei “negretti buon selvaggi” in Pippi Calzelunghe). Perchè te ne senti ferita e immagini, temi quanto ne possa soffrire lei. Un senso di esclusione che è nelle piccole cose quotidiane e ancor più brutalmente nella storia, nel passato lontano e in quello recente, nella cronaca del nostro stesso presente.

Non so se ci sono riuscita, non so se l’ho protetta troppo o troppo poco. Perché è un equilibrio difficile quello fra attrezzare una figlia alla cattiveria del mondo, mostrandogliela in tutti i suoi aspetti o invece nascondergliela per quanto possibile, cercando all’opposto di costruire un mondo di serenità, di relazioni positive, di affetti.

La ami, il più possibile, e questa è la protezione più semplice, più immediata. E insieme a te la amano la tua famiglia, i tuoi amici, i suoi compagni: è un mondo per fortuna altrettanto reale quello che la accoglie ogni giorno, che la include positivamente. Senza per questo cancellare gli altri mondi e le altre famiglie da cui proviene e di cui fa parte: le persone lasciate in Africa, da tenere vive con la memoria dei racconti, delle foto, delle telefonate, i parenti approdati in Italia con cui mantenere i contatti, da continuare a frequentare, per non perdere il sapore di certi cibi, per apprendere la cura del proprio corpo, per conoscere altre abilità.

Ma non basta. E allora quando cresce cerchi di attrezzarla con gli strumenti della conoscenza, della cultura, attraverso la storia e le storie di altri. Le parli di Nelson Mandela, e della lotta contro l’apartheid, le parli di Martin Luther King, di Rosa Parks, delle battaglie dei neri per i diritti civili, degli atleti con il pugno chiuso alle olimpiadi, del colonialismo e della lotta per l’indipendenza, per lo sviluppo, contro la fame nell’Africa di oggi. Cerchi di trovare spazio nella sua mente, nel suo cuore, nella sua psiche a figure nobili, coraggiose, che hanno combattuto, hanno fatto la storia e rappresentato il progresso per tutta l’umanità. Ma poi ti fermi; cerchi di alleggerire il bagaglio di racconti, immagini in cui la condizione di schiavo, di separato, di umiliato, di sofferente, di affamato assume sempre il colore nero della pelle. E’ una bambina, tu bambina non hai dovuto combattere con questo peso, con questa identità con cui è così difficile confrontarsi, tu hai avuto un’altra eredità, quella del senso di colpa, del sentimento di un’ingiustizia assoluta, inaccettabile, che pure ti devi sforzare di ricondurre nel solco della storia.

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Cerchi l’equilibrio, limiti il cattivo e cerchi il buono, censuri i libri e inventi storie, scegli certi film ma non sempre ne puoi evitare altri. E allora provi a compensare, a valorizzare storie, percorsi, carriere meno eroici ma altrettanto importanti a dare sicurezza in se stessi.

Il motivo principale per cui, qualche anno fa, mi sono abbonata a Sky è stato proprio quello di fornire a mia figlia una visione del mondo un po’ meno angusta e un po’ più colorata di quella che offriva la televisione italiana. A volte me ne pento perché ho scoperto che sul satellite proliferano ogni tipo di reality show, di cui le nostre giornate familiari sono bombardate. Ma negli infiniti canali satellitari mia figlia ha potuto trovare sit-com, serie tv, film, show, programmi di intrattenimento made in Usa i cui personaggi e protagonisti rappresentano un’umanità variata, dove chi ha la pelle nera non è necessariamente né un eroe né un derelitto ma semplicemente una persona normale.

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E proprio per difendere la sua normalità, ho scelto in alcuni casi il silenzio. Ad esempio di fronte a recenti episodi di razzismo (pestaggi, umiliazioni, soprusi fino ai casi estremi di omicidio) ho scelto di nascondere, di non parlarne come faccio di solito, di spegnere la tv e chiudere il giornale. Mi sentivo totalmente impotente a difenderla dalla xenofobia, dal clima avvelenato che sentivo nelle parole di troppi miei concittadini ma anche di troppi esponenti politici, ho avuto paura per lei, ho cercato con il mio silenzio di azzittire le voci, i discorsi, le grida dell’intolleranza e dell’odio che potessero spaventarla. E dentro di me ho sentito allargarsi l’angoscia che ogni genitore prova per il futuro dei propri figli, aggravato però da questa sensazione di pericolo razzista che poteva colpirla. E ho pensato –o forse è meglio dire sentito – che l’unica strada possibile era controllarla di più, proteggerla anche fisicamente, tenerla a casa, assicurarsi dei luoghi e delle persone che frequenta. Come se fosse possibile tenere a bada una quindicenne.

L’unica consolazione averla adottata in tempo, dopo dieci anni in affidamento, era finalmente cittadina italiana, non più straniera esposta ai venti del patriottismo nostrano. Anche se è difficile dimenticare le file in commissariato per i permessi di soggiorno, il senso di precarietà per il passaporto che non arriva mai, le trafile burocratiche per il documento che non è mai a posto, l’umiliazione del controllo improvviso: una condizione con cui continuano quotidianamente a fare i conti migliaia di persone.

***

E poi è arrivato Obama. Io ancora non ci credo, non mi sembra possibile. A volte mi sembra di stare in una favola. Altre di vivere in un mondo schizofrenico, che faccio fatica a capire. La mia paura, la mia angoscia crescente per un mondo che non mi piaceva e che mi vedevo crescere attorno, ha trovato un contrappeso: una speranza, proprio come dice Obama “l’audacia della speranza”. Noi eravamo sempre qua, ad assistere spaventati, impotenti e balbettanti al consolidarsi di una perversa alleanza fra le peggiori pulsioni (egoismo sociale, xenofobia, richiami all’ordine, intolleranza…) presenti nella società e la loro rappresentazione in una solida maggioranza politica, che giustificava, no di più, in molti casi dava voce, enfatizzava queste pulsioni, le trasformava in slogan, in progetti politici, in programmi elettorali, in leggi, inquinando e minacciando le regole della civile convivenza. E intanto, al di là dell’oceano si stava dipanando la rivoluzione gentile di Barack Obama.

Ho tifato Obama perché era un democratico nero candidato alla Casa Bianca e tanto mi bastava. Chissà se sarei arrivata a tifare anche per un candidato repubblicano nero? Sinceramente non lo so, ma so quanto fosse importante per me e per mia figlia che nella stanza dei bottoni e del potere ci fossero anche Condoleeza Rice o Colin Powell con le loro pelli scure.

Ho tifato con il cuore ma anche con la testa, e con il cuore e con la testa ho capito, giorno dopo giorno, mese dopo mese, che lo straordinario “miracolo” che si è compiuto è stato possibile proprio perché Obama ha sovvertito le regole del gioco, ha rotto gli steccati, ha rimescolato i ruoli, ha superato i conformismi, ha ridefinito le identità: Obama, la sua straordinaria storia, la sua straordinaria passione e intelligenza (che ho scoperto fra l’altro leggendo i suoi libri) rappresentano il miracolo della politica che torna ad avere valore e ad essere praticata da milioni di persone, che pensano di poter partecipare del destino comune, di far parte di una comunità più larga, più complessa, più ricca delle singole appartenenze.

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C’è un’immagine che più di tutte mi si è scolpita nel cuore nella notte di Chicago: la commozione, le lacrime, il volto segnato di Jesse Jackson, del leader nero del passato, così diverso, così lontano da Obama. In quel pianto ho sentito sciogliersi il dolore della storia. Il passato non può essere cancellato, non è mai passato del tutto, vive dentro di noi ma può diventare non fardello ma coscienza per il presente e per il futuro.

Un presente e un futuro che oggi mi appaiono meno grigi e meno preoccupanti nonostante gli scenari cupi dell’economia globalizzata e dei conflitti permanenti. L’uomo più importante del mondo – simbolicamente e realmente – è un afroamericano, con la storia, le idee e i programmi di Obama. Mia figlia è sicuramente più forte e più protetta di ieri dai pericoli del razzismo.

Quest’estate siamo state a Parigi, la prima volta per lei, fresca di passaporto. Una città di cui si è innamorata. A colpirla positivamente, fra le tante cose, è stato vedere per le strade tante coppie miste, non solo fidanzati ma amici, colleghi, gruppi di persone di ogni parte del mondo, di ogni provenienza – africani, asiatici, europei, bianchi, neri e con tutte le sfumature, mescolati e non divisi per appartenenze ed etnie come succede da noi. Mi ha chiesto di venire a vivere a Parigi, le ho promesso che ci sarebbe potuta andare, appena finito il liceo. Chissà, forse, fra qualche anno avrà cambiato idea, in fondo ama molto il suo paese, in cui ha radici solide e profonde; o magari a cambiare sarà il clima delle nostre città, contagiato da una voglia di cambiamento tanto inattesa quanto potente, reso meno angusto e rivitalizzato dal vento americano. Come ci hanno insegnato gli Stati Uniti, molto dipende da noi.

P.S. A proposito di sit-com americane. Ce n’è una, molto divertente, “Cory alla Casa Bianca”, che mi capita di vedere con mia figlia, protagonista un simpatico adolescente nero, figlio di un cuoco diventato lo chef del Presidente, un Presidente naturalmente bianco, piuttosto sciroccato, con una figlia, una ragazzina dispettosa e abbastanza odiosetta. Adesso gli sceneggiatori della prossima sit-com sono più liberi, e per registi ed attori d’ora in poi non c’è più niente di scontato nell’attribuire le parti.

di Renata INGRAO,  da LIBERAZIONE 2008.